Ok, prova a immaginare la scena. Immagina una distesa di acqua, un mare. Azzurro, ma reso blu dalla profondità. Calmo in maniera quasi surreale, al punto che, se visto da lontano, potrebbe sembrare un lenzuolo blu ben stirato. In mezzo a tutto quel blu c’è una sagoma: è una ragazza che galleggia, che fa il morto. Ha gli occhi chiusi e respira lentamente: si potrebbe pensare che sia addormentata, ma non lo è, anzi, è sveglia e attenta. Ha gambe e braccia leggermente aperte, per galleggiare meglio, e indossa un costume intero, perché la fa sentire più a suo agio. Solo una volta ha indossato un altro tipo di costume. Era in un camerino, o a casa di un’amica, ora non si ricorda bene. Si ricorda solo che qualcuno le aveva detto “Provalo dai, vedrai che ti sta bene!” e lei aveva risposto “No, non mi starà bene!”. Lo aveva comunque provato, si era mostrata e aveva detto “Vedi? Mi sta malissimo! Guarda che roba!” ed era tornata subito a cambiarsi. In realtà le stava bene, ma lei non poteva rendersene conto, e comunque nel costume intero si trovava più a suo agio, ed era giusto così.
Linea 33
Linea 33 – Immersa
Una cosa non è mai mancata in nessun appartamento in cui S abbia mai abitato: uno specchio appeso sopra un tavolino vicino alla porta di entrata. Sì, perché quando S esce di casa deve, come fosse un bisogno vitale, aggiustarsi i capelli biondo cenere dando una rapida occhiata al proprio riflesso. È un attimo. Quanto sarà? Cinque secondi? Sette? Pochissimo. Non fa in tempo nemmeno a notare i suoi occhi blu. O forse quelli non li noterebbe nemmeno guardandosi a fondo. Sarà qualcun altro che li noterà, che li osserverà e che le spiegherà che non sono solo occhi blu, e che non importa nemmeno che siano blu. Quello che importa è il loro riflesso, ovvero quello che rimane del mondo esterno dopo che è passato attraverso la miriade di cellule e molecole e impulsi che lo trasformano in qualcosa di soggettivo. Insomma: prima o poi per qualcuno sarà più importante il suo sguardo che i suoi occhi.