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Linea 33 – Immersa

Una cosa non è mai mancata in nessun appartamento in cui S abbia mai abitato: uno specchio appeso sopra un tavolino vicino alla porta di entrata. Sì, perché quando S esce di casa deve, come fosse un bisogno vitale, aggiustarsi i capelli biondo cenere dando una rapida occhiata al proprio riflesso. È un attimo. Quanto sarà? Cinque secondi? Sette? Pochissimo. Non fa in tempo nemmeno a notare i suoi occhi blu. O forse quelli non li noterebbe nemmeno guardandosi a fondo. Sarà qualcun altro che li noterà, che li osserverà e che le spiegherà che non sono solo occhi blu, e che non importa nemmeno che siano blu. Quello che importa è il loro riflesso, ovvero quello che rimane del mondo esterno dopo che è passato attraverso la miriade di cellule e molecole e impulsi che lo trasformano in qualcosa di soggettivo. Insomma: prima o poi per qualcuno sarà più importante il suo sguardo che i suoi occhi.

Ma non è stato finora e non sarà nemmeno oggi. S si sistema i capelli, riflesso rassicurante, raccoglie il quadernino e lo infila nella tracolla. Una volta aveva provato a sostituire quel quadernino con un taccuino di quelli con l’elastico e il segnalibro, ma l’aveva lasciato perdere dopo cinque pagine. Troppo hipster, troppo elaborato da aprire, troppo in senso generale. A lei bastava quel quadernino, di quelli delle scuole elementari, ma piccolo, e una biro. La biro è a scatto, ha inciso il logo di un’azienda che vende energia elettrica, e fa da segnalibro in modo più naturale di un segnalibro vero. Quindi per passare da avere un’idea a scrivere quell’idea S fa così: apre la tracolla, estrae il quadernino, con il pollice destro ferma la biro mentre con la sinistra apre alla pagina in cui la biro stessa risiede, di nuovo con la destra estrae la biro e contemporaneamente, in un click, esce la punta. È lungo da spiegare, ma veloce da fare. Quanto sarà? Cinque secondi? Sette? Pochissimo. L’inchiostro è sempre blu. E si, sempre quella persona, sospinta a notare e registrare ogni dettaglio vagamente carino, glielo farà notare, prima o poi.

Questa azione di solito avviene sul tram. S lo prende quasi tutti giorni. Quando lo prende lei non è mai uno dei modelli moderni, accessibili e tutto quanto. No. È sempre un modello vecchissimo, di quelli con gli scalini alti e l’aria stanca. Non è che si lamenti eh. Anzi, le piacciono un sacco. La scomodità la tiene attenta e lei sa benissimo che è solo prestando attenzione che si scoprono le cose migliori, che scattano le idee che vale la pena modellare. Ma a cosa stare attenti? Domanda difficile. Se si concentrasse, ad esempio, su quell’imbianchino con i pantaloni sporchi di gesso, quello che ha uno di quei taccuini che a lei non piacciono, potrebbe scoprire che quella persona le porterà un’idea, certo, ma non per forza. Insomma: concentrarsi su una sola cosa è rischioso, è una scommessa, potrebbe essere fatica sprecata mentre intorno magari stanno succedendo cose fighissime che lei si perderebbe. Per questo S non presta attenzione concentrandosi, ma immergendosi.

Come nella vasca da bagno S si immerge nel tram, o nella banchina, o dove capita. Lascia che tutti i sensi registrino informazioni, anche in modo scomposto, anche se l’oscillare si confonde con l’odore di quella pasticceria e con il vociare di quegli studenti. In questo modo nascono ibridi senza senso, l’oscillare acquista un odore suo, o forse erano gli studenti a oscillare, o gli studenti arrivavano dalla pasticceria. Ma non è un problema: anzi, è quello l’obiettivo. Perché nel caos che si forma, tutto ciò che, al contrario, una struttura ce l’ha, spicca rispetto a tutto il resto. Il vociare degli studenti viene interrotto dal conducente che fa notare, in modo poco cortese, a un automobilista, che il tram segue le rotaie e che sarebbe carino se spostasse la dannata macchina. Mentre lo fa, mette mano a un comando e immediatamente l’oscillare viene sporcato dal muoversi di ingranaggi che ne spostano l’epicentro in direzione opposta rispetto all’auto. Il profumo sparisce, al suo posto la percezione di un’auto evitata.

S coglie la struttura e riemerge con la sensazione di aver già vissuto quella scena. Anzi: di viverla tutti i giorni. Sta forse percorrendo anche lei gli stessi binari tutti i giorni, senza poterli cambiare, al massimo spostandosi leggermente per provare ad evitare gli ostacoli? Tracolla, apertura, fruscio, click e inizia a scrivere, trasforma la sensazione in idea e l’idea in parole. La scrive e sta male, ma scrivere la fa stare meglio. Dato che è mattina e che non può permettersi di essere depressa tutto il giorno, racchiude quelle frasi in un recinto a penna, rettangolare, e in angolino di quel recinto scrive una P.

Poi si accorge che è la sua fermata, mette via il quadernino al volo, salta in piedi ed esce, come al solito urtando qualcuno, qualcuno che la riterrà persa nel suo mondo, mentre in realtà, in quel mondo, ci si immerge soltanto.

Ispirato da Linea 33 e da una Super Bock.

Lawrence d'OrobiaLinea 33 – Immersa

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