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Linea 33 – Due blu

Ok, prova a immaginare la scena. Immagina una distesa di acqua, un mare. Azzurro, ma reso blu dalla profondità. Calmo in maniera quasi surreale, al punto che, se visto da lontano, potrebbe sembrare un lenzuolo blu ben stirato. In mezzo a tutto quel blu c’è una sagoma: è una ragazza che galleggia, che fa il morto. Ha gli occhi chiusi e respira lentamente: si potrebbe pensare che sia addormentata, ma non lo è, anzi, è sveglia e attenta. Ha gambe e braccia leggermente aperte, per galleggiare meglio, e indossa un costume intero, perché la fa sentire più a suo agio. Solo una volta ha indossato un altro tipo di costume. Era in un camerino, o a casa di un’amica, ora non si ricorda bene. Si ricorda solo che qualcuno le aveva detto “Provalo dai, vedrai che ti sta bene!” e lei aveva risposto “No, non mi starà bene!”. Lo aveva comunque provato, si era mostrata e aveva detto “Vedi? Mi sta malissimo! Guarda che roba!” ed era tornata subito a cambiarsi. In realtà le stava bene, ma lei non poteva rendersene conto, e comunque nel costume intero si trovava più a suo agio, ed era giusto così.

Galleggia, ma quest’azione apparentemente passiva modifica quello che ha intorno. La sua presenza, il suo semplice essere lì in quel momento, ferma, è vistosa quanto un punto nero in un mare blu. È vistosa come delle piccole onde che increspano l’acqua altrimenti perfettamente liscia che ha intorno, descrivendo, allontanandosi, una forma molto simile a quella del suo corpo, anche se man mano più grande. La temperatura è ideale, né caldo né freddo, e il cielo è così limpido che si potrebbe confonderlo per un altro mare, ma più chiaro e a testa in giù. Stai riuscendo a immaginarlo? Sembra tutto così rilassante, vero? Sbagliato.

Se zoomi vedrai che la ragazza sta respirando lentamente per provare a calmarsi. In quel mondo dalla temperatura neutra, sente dentro di sé due temperature opposte. Dalla sinistra avanza un ricordo bellissimo, un ricordo di quelli eccezionalmente tiepidi, di quelli che ti scaldano nel profondo senza scottarti; dalla destra invece si fa strada il freddo siderale di una solitudine sia esterna che interiore. Le due sensazioni si scontrano all’altezza del suo stomaco, lasciandolo dolorante, un dolore vero, un dolore fisico. La ragazza è abituata alle brutte sensazioni, così come a quelle belle. Il problema di quella situazione è che caldo e freddo hanno la stessa identica intensità. Tu penserai, a ragione, l’ho pensato anche io: si, ma allora la somma è zero. No. Quello che si è creato dentro alla ragazza è un movimento oscillatorio, continuo, da una sensazione all’altra. Non sa cosa provare perché quando comincia a provare qualcosa, già dovrebbe provare l’esatto opposto. E quel maremoto interiore è aggravato dalla calma piatta dell’esterno. Non sa se essere felice, se piangere, o se urlare tutta la sua rabbia. Non ha appigli, né dentro né fuori, tutto è dolorosamente in fermento o testardamente calmo. Non c’è niente, non c’è nessuno, in nessuna direzione. Nemmeno una nuvola come punto di riferimento, ci sono solo lei e due tonalità di blu, una scura sotto e una chiara sopra.

Respira perché è quello che le hanno insegnato, respira perché è l’unica cosa sensata da fare in quel momento. Si concentra sui polmoni per non sentire lo stomaco. Si concentra sul ritmo del respiro per sentire quello e non i suoni delle profondità ovattati dall’acqua. Non sa cosa provare, figuriamoci se riesce a pensare in che direzione andare, quale obiettivo provare a raggiungere. Respirando prova ad allontanarsi da se stessa, prova a guadagnare un po’ di obiettività allargando il campo. Propongo di fare anche noi la stessa cosa: zoomiamo all’indietro, a velocità crescente. La ragazza diventa una sagoma nera su blu, sempre più piccola, fino a diventare solo una macchia dai contorni incerti. Ancora qualche istante e siamo abbastanza lontani da percepire la curvatura, di quella massa blu. Ancora pochissimo e quella macchia nera nell’acqua diventa un dettaglio scuro su un’iride blu. Infine tutto è finalmente alla sua grandezza naturale: una ragazza dagli occhi blu e dai capelli biondo cenere seduta su un tram. Hey, ma sappiamo chi è! È S, te la ricordi?

Alcune volte le immersioni di S vanno proprio così. Non entra nulla dall’esterno, nemmeno il cha-cham costante dei binari, nemmeno le suonerie dei cellulari. Niente. Ed S si ritrova da sola, a volte in senso buono, a volte in modo pauroso. E tutto ciò che entra in quelle immersioni non si può dire che sia davvero entrato: semmai è uscito. Stava già lì a galleggiare, sospinto dalla corrente, in attesa di essere provato, elaborato e capito. S è alla costante ricerca di nuove idee e pensieri da mettere sulla carta e sa benissimo che alcune devono per forza di cose arrivare dall’interno. Ha anche imparato che quest’ultime sono difficili da gestire, sono come una gelatina troppo informe da afferrare, e il motivo è presto detto: un maremoto lo capisci davvero solo quando lo vedi da lontano, già se ci sei in mezzo è difficile essere obiettivi, figuriamoci se ce l’hai dentro.

Alcune immersioni di S, come quella di oggi, le lasciano lo stomaco in subbuglio per diverso tempo. Le parole, le frasi, le usciranno per bene solo tra qualche giorno e solo allora tutto si calmerà un pochino. Nel frattempo disegna una piccola greca, fatta di linee e cerchi, in fondo alla bozza. Richiude il quadernino, si alza (siamo quasi alla sua fermata) e dopo averci riposto tutto quanto, sposta la tracolla un po’ all’indietro per scendere più agevolmente.

 

La prima puntata dello spin-off è Linea 33 – Immersa.
L’originale è Linea 33.

Lawrence d'OrobiaLinea 33 – Due blu

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