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Quelli del club del sigaro mi spiegano il Nicaragua

Cerco su Spotify cigars per trovare una playlist adatta, una di quelle che ti appoggi allo schienale, chiudi gli occhi, respiri a fondo e rivedi, rivivi, quello che hai cercato. Ne trovo una che promette bene, promette Whisky and Cigars, e 24.000 followers gli hanno creduto. Premo play prima di vedere cosa effettivamente c’è dentro: mi accoglie Etta James, dicendo At Last. Io il sigaro non ce lo sento.

No, cazzo, il sigaro non ce lo sento. Non centra proprio nulla. Bella, ma non centra nulla. Scorro le altre canzoni, premo compulsivamente sul tasto skip. Sento parlare inglese, non va bene. Anzi: sento parlare solo inglese: non va affatto bene. E una canzone natalizia? Ma davvero? Nina Simone, Luis Armstrong, ma siamo matti? Frank Sinatra? No, il jazz, il blues, l’inglese, sono da sigaretta. Whisky possiamo parlarne, ma di sicuro non sigaro. Sigaretta semmai. Cose molto diverse.

Perché cerco il sigaro? Perché devo scrivervi di quella volta che sono stato a una cena dello 035 Cigar Club di Bergamo, quella dedicata al Nicaragua. E per scrivere mi serve un po’ di ispirazione (appoggiarsi allo schienale, chiudere gli occhi, quelle cose lì). Nicaragua: ecco, per prima cosa il sigaro parla spagnolo. O almeno ha l’accento spagnolo. Portoghese? Sei sceso troppo. Inglese? Importato. Che poi ok, ai sigari ormai danno il nome di inglesi illustri, inglesi che con il sigaro in bocca ci hanno passato metà vita. Però non è la loro lingua, la lingua del sigaro è lo spagnolo. Che poi è la lingua di chi quei sigari li ha coltivati, quando erano ancora piatte di tabacco, di chi ha separato le foglie (tripa, capote e capa; vedi: spagnolo), e di chi poi le ha rimesse insieme con una velocità e la perizia che io non avrò mai. Nel tempo che io ho scartato il mio sigaro, la signora dalla pelle mulatta nel video ne ha rollati dieci.

Mi attesto su un Oye Como Va mentre ripenso più lucidamente a cosa ho provato. Scarti e annusi. Fino a qui è facile sembrare un grande intenditore. Annusi e annuisci, facile. Vince chi annusa il sigaro dall’angolazione più strana, credo. Sopra, sotto, per lungo. Come per il vino bisogna capire di cosa odora. Cioccolato, per dire. Questa volta ci ho imbroccato, quel sigaro di cui non ricordo il nome è più dolce, più tondo, di quello della volta precedente. Tondo nel senso del gusto, perché fisicamente invece è quadrato: dicono che serve per non farlo rotolare. Bah. Chiedo a chi ne sa più di me di tagliarlo, chiedo a chi ne sa più di me un aiuto ad accenderlo, che qui qualsiasi cosa fai sbagli. Prendo le prime boccate e mi torna in mente un pensiero che avevo fatto anche l’altra volta seguito da un secondo, quest’ultimo inedito.

Primo pensiero: ha ragione Freud, e poi Svevo, fumare è pericolosamente simile ad attaccarsi a una tetta. Succhi e ti ritrovi in bocca qualcosa di caldo, con un buon sapore. Da adulto puoi decidere sapore e dimensione del capezzolo, ma siamo sempre lì. Magari questo capezzolo parla spagnolo, ma sempre capezzolo è.

Secondo pensiero: sto tenendo in bocca qualcosa di lungo e scuro da cui esce calore. Prima l’ho annusato in lungo e in largo. Prima ancora scartato e accarezzato.

Ne consegue che fumare un sigaro è, al momento, nella mia testa, qualcosa al contempo incredibilmente omosessuale ed eterosessuale. Non se se le due componenti vadano ad annullarsi (somma zero), o il bello stia proprio negli estremi che si incontrano. Non si fa di questi problemi la platea, i miei commensali, tutti maschi, per la maggior parte impegnati ad atteggiarsi a grandi intenditori (un po’ come il sottoscritto). Qualcuno lo è davvero. Vorrei chiedergli di questa cosa etero vs omo ma non vorrei offenderlo. La risatona che scoppia quando qualcuno fa notare che la nicaraguense è davvero brava a infilare i sigari nell’involucro mi fa capire che sono l’unico a pormi la questione.

Ecco, forse il punto è che il sigaro non è ovvio. Ha dietro, e dentro, un pensiero. Sarà tutto placebo, ma il pensiero lo stimola anche un po’. Secca la gola, rivolta lo stomaco, fa male e tutto quanto, ma probabilmente andrò anche alla prossima cena a tema.

Poi un giorno qualcuno mi spiegherà come mai la chitarra di Santana soffre così tanto.

Lawrence d'OrobiaQuelli del club del sigaro mi spiegano il Nicaragua

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