Ammetto di essere tra le persone che, ancora adesso (e siamo a settembre) gioca a Pokémon GO. Anche nell’ufficio dove lavoro si sono create due fazioni ben distinte: quelli che ci giocano (o che lasciano giocare i propri figli) e quelli che pensano sia un gioco per dementi. Un po’ come è accaduto su internet sin dal lancio di Pokémon GO. Probabilmente tra tutti i miei colleghi vince T, che gioca a Pokémon GO ma solo perché nei dintorni dell’ufficio ci sono dei Pokestop dove può trovare oggetti per la figlia.
Mi è capitato anche di dover spiegare questo gioco alla mia ex professoressa di italiano quando sono uscito a pranzo con lei e suo figlio. Quest’ultimo era anche interessato a capire i veri motivi del successo del gioco, oltre a voler sapere come un’app del genere potesse monetizzare. La risposta alla seconda domanda è semplice: con gli acquisti in-app. In Pokémon GO ci sono degli oggetti, alcuni necessari, altri che permettono di ottenere di più dal gioco. Questi oggetti si ottengono presso alcuni punti di interesse, oppure si possono acquistare con soldi veri all’interno del market dell’app.
La prima domanda, invece, richiede un risposta un po’ più elaborata. Le ragione del successo, almeno iniziale, di Pokémon GO sono svariate e probabilmente alcune mi sfuggono. Secondo me le ragioni principali sono principalmente due e riguardano le tecnologie utilizzate e il franchise su cui Niantic (la società che ha sviluppato Pokémon GO) ha puntato.
Tecnologie mature
Pokémon GO sfrutta due tecnologie mature al punto giusto per essere utilizzate in un videogioco per smartphone. La prima è Google Maps, ovvero la geolocalizzazione e la mappatura pressoché mondiale, inclusi i punti di interesse di città e paesi. Non a caso Niantic è stata una startup interna a Google, per poi diventare un’entità a sé stante, per poi ricevere un investimento da parte di Google, Nintendo e The Pokémon Company.
La seconda tecnologia che Pokémon GO ha messo in campo è la realtà aumentata, che non è altro se non uno strato virtuale che si sovrappone alla realtà ripresa, ad esempio, da una videocamera. Non è una novità. Si è già vista applicata in molti campi, per aggiungere delle informazioni dove magari è complicato aggiungerne in altro modo: su un quadro in un museo ad esempio, o su un monumento. Il fatto che anche la rivista Focus ne faccia uso è segno che la realtà aumentata era pronta per essere sfruttata su larga scala per un videogioco come Pokémon GO.
Franchise perfetto
La fortuna di Pokémon GO non si basa solo sulle tecnologie, ma anche su un franchise che è a dir poco perfetto da abbinare a geolocalizzazione e realtà aumentata. D’altronde i giochi Pokémon originali erano proprio questo: andavi in giro per un mondo immagino a catturare bestioline che nella realtà non esistono. Basta sostituire il mondo immaginario con quello reale ed aggiungere i mostriciattoli tramite realtà aumentata e il gioco è fatto. Quello che intendo dire è che un Harry Potter GO, un Barbapapà GO o un qualsiasi-altra-cosa GO non avrebbe funzionato allo stesso modo.
Sempre sul franchise è stata fatta una seconda scelta molto acuta: quella generazionale. Esistono diversi Pokémon, che appartengono a diverse generazioni. Ogni nuova uscita, a qualche anno di distanza dalla precedente, ha introdotto una nuova generazione. Generazione che ovviamente ha coinciso con una diversa generazione di giocatori. La prima è datata 1999 (in europa), io avevo circa 10 anni e come me molti delle mia età giocavano a Pokémon Rosso o Blu. Ora quei giocatori hanno tra i 25 e i 30 anni, una fascia d’età nella quale quasi tutti possiedono uno smartphone e hanno qualche soldino da spendere in videogiochi (sicuramente più di un bambino di 10-15 anni). Mi sembra un buon motivo per lanciare Pokémon GO proprio con la prima generazione!
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