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Impressioni su Kobane Calling, quasi una recensione

Se c’è una cosa che Zerocalcare sa fare bene è convincerti che, in fondo, lui ne sa poco di quello che sta raccontando. Vuole convincerti di essere lo scemo del villaggio, o Kermit la rana. Credo sia proprio questo enorme sforzo di modestia il vero punto di forza di Kobane Calling: non volendo essere un vero e proprio reportage di un viaggio in zone di guerra, diventa una raccolta di impressioni, di aneddoti, di sensazioni. Insomma una storia.

Da quando ho saputo dell’uscita di Kobane Calling avevo intenzione di comprarne due copie. Una per me e una per questa mia amica che ha preso molto a cuore l’aiutare i profughi siriani. Mi erano piaciuti molto i due fumetti usciti su Internazionale (che sono stati inglobati in questo lavoro più ampio) e li avevi passati anche a lei. Ovviamente non mi ha dato retta e non li ha letti. Va beh.

A circa un mese dall’uscita ero pronto a fare il preordine, ma leggo che Feltrinelli avrebbe fatto uscire una variant ad edizione limitata. Ora, io ho scoperto tipo il mese scorso di questa pratica delle variant, ma da allora sono drogato. Alcune copie di queste variant sono state disponibili sul sito Feltrinelli, quindi ne ho prese al volo due copie.

Il 13 aprile arriva il pacco. Lo apro e la prima cosa che mi colpisce è la dimensione del volume. Sia come formato che come spessore (270 pagine). Metto via quello per la mia amica e tengo quello con il numero (le copie sono limitate e numerate) più alto: 4958 su 5000. Mi fa sentire quasi un sopravvissuto, un eletto. Leggo tutto in due sere.

Quello di Kobane Calling è uno Zerocalcare che lascia un po’ da parte le questioni nerd e biografiche per spiegare e commentare eventi, luoghi e personaggi decisamente più seri: è il racconto dei viaggi ha fatto tra Siria, Turchia e Iraq. Lo fa senza rinunciare alla sua consueta ironia, ai dettagli esilaranti, alle espressioni romanesche, ai riferimenti alla cultura pop. Ha invece dovuto rinunciato ai plumcake, che in Rojava sono un po’ difficili da trovare. Altra assenza importante è la coscienza-armadillo. Mi son chiesto perché proprio in un viaggio come questo, Zero abbia deciso di lasciare a casa la propria coscienza. L’armadillo è sarcastico, disilluso, cinico: sarebbe stato inutile e deleterio. Inutile perché il libro è pieno di personaggi con quelle tre caratteristiche (e con un vissuto a giustificarle); deleterio perché dietro al viaggio di Zerocalcare c’è anche la voglia di scoprire e di credere nell’esperimento quasi utopico del Rojava.

Porto la copia alla mia amica. Le ricordo che io di solito non consiglio le cose così a caso, e ancor più raramente insisto. Lei conferma. Aggiungo anche che Kobane Calling parla di cose che le stanno molto a cuore. Ma tanto so che non lo leggerà mai.

Lawrence d'OrobiaImpressioni su Kobane Calling, quasi una recensione

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